[1] Riguardo alla datazione gli studiosi non sono concordi (Martinianus è considerato sia in PLRE I e in PLRE II a riprova dell’indecisionalità cronologica); prevale la tesi che si tratti di un funzionario vissuto in epoca costantiniana per il repertorio iconografico presente sul sarcofago (M. Sannazaro, Attestazioni di militari e militaria a Milano, in M. Buora (ed.), Miles Romanus. Dal Po al Danubio in età tardoantica, Pordenone 2002, 70; ICI XII, 63: Cuscito 2009; EDR139631: Zoia 2014) e concordo con queste recenti proposte. Peraltro D. Matei, In acie miles probatur… Il contributo dei militari della Dacia nella difesa dell’Italia durante il periodo dell’ ‘anarchia militare’, Eph. Dacor., XVIII (2016), 167 s. ha proposto una datazione della vicenda di Martinianus alla seconda metà del secolo III, associandola alla presenza di un discreto numero di militari e funzionari provenienti dalla Dacia e coinvolti nelle campagne dell’imperatore Gallieno in territorio mediolanense, in primis l’usurpatore Aureolus.
Se il termine latino germen con il significato di ‘stirpe’ servì a introdurre certamente una precisazione riguardo all’origine geografica dell’ufficiale, di più difficile determinazione risulta l’attributo Daciscus, che forse non è pienamente corretto qualora inteso semplicemente come abitante dell’antica provincia romana di Dacia, come è avvenuto nella maggior parte degli studi.
Da un raffronto con altre attestazioni epigrafiche nelle quali comparve lo stesso etnonimo romanizzato1, in alcuni casi si trattò peraltro di un cognomen 2 attestato sia in Dacia sia in Moesia Inferior, si può ipotizzare che la perifrasi germen Daciscus (Dacicus) stesse a indicare un uomo oriundo del territorio entro cui l’antica provincia Dacia fu inclusa a partire dall’epoca costantiniana e liciniana, ovvero dalla diocesi delle Moesiae 3. Un’epigrafe di poco precedente a quella di M. riferì infatti la provenienza nel seguente modo: natione Dacisca (Dacica), regione Serdica (CIL VI, 2605), fornendo un’incontrovertibile collocazione nella città principale della Dacia Mediterranea; il caso di M. non permette altrettanta precisione toponomastica, senza escludere tuttavia la certa provenienza basso danubiana.
1 Si veda lo studio recente di D. Dana, Onomastique est-balcanique en Dacie romaine (noms thraces et daces), in R. Ardevan, C. Ciongradi, C. Găzdac, C. Roman, L. Ruscu (eds), Orbis Antiquus. Studia in honorem Ioannis Pisonis, Cluj-Napoca 2004, 438.
2 Il cognomen Daciscus è attestato a Roma (CIL VI, 3320: Daciscus), in Moesia Inf. (CIL III, 7573: Daciscus), in Dacia, per la precisione presso Drobeta (IDR II, 50: Iulius Daciscus).
3 Cfr. Cuscito, Il recinto di S. Vittore, 433. Al proposito si veda anche l’indicazione riportata nella Not. dign. orient. XL 21: milites Dacisci con riferimento alla Moesia II.
Il prezioso oggetto era quasi interamente ricoperto da un’estesa scrittura epigrafica, disposta sul coperchio e sul corpo stesso del sarcofago, rispettivamente sul lato sinistro, al centro e sul lato destro. Quanto fu iscritto, oggi sfortunatamente è andato fisicamente disperso, rimane tuttavia ciò che fu tramandato dalla tradizione manoscritta2.
Per seguire con linearità il lungo testo inciso nel monumento, si può prendere avvio dalla sezione centrale. A partire dal coperchio furono lette le parole seguenti:
d(is) M(anibus) | bonae memoriae et domi(ni) Martinian(i) ex p 3|rotectoribus iternam sequrita|tem, germen Dacisqus, iustus, | pientisisimus, bene meretus in se|qulum anus militavit XLV | et vivet anus n. LX et spero me | vivere aduc anus n. LXXXXVIIII, | meses sex, d<i>es III et inde III, arcae hic si cis | removere voloeret aut aperire | aut velet alium qurpus, davit in fescu auri p(ondo) I.
Il lato sinistro del manufatto fu inciso soltanto nella parte del coperchio, con due immagini astrali corredate di didascalia illustrativa disposte una sopra l’altra: in alto dunque la raffigurazione di una piccola stella a otto punte stilizzata con sottostante scritta ‘lucifer’ (Venere), sotto il disegno del sole, anch’esso con otto raggi4, accompagnato dalla scritta ‘et sole’.
Speculare la realizzazione sul lato destro, ma estesa anche sul fianco laterale del sarcofago, quindi di nuovo una rappresentazione della stella a otto punte, questa volta con sottostante la dicitura ‘antifer’ (anti-Venere), sotto il tratteggio di una falce lunare vòlta a ponente affiancata da un cristogramma mutilo con le lettere ‘omega e alpha’ e sottostante didascalia ‘et luna perima’, cui si aggiunge lungo il fianco del sarcofago: vertutem | et geloriam | felice Marti|niano, erede|s facoletatum | vivos{o} sibi fecet hoc (CIL V, 6244)5.
Il primo dato che appare dopo il canonico formulario iniziale riguarda la carriera del celebrato Martinianus; si trattò di un protector non più in servizio6, che visse e operò quasi certamente nell’epoca costantiniana, se si considera il programma iconografico scelto per il sarcofago che commissionò quando fu ancora in vita (vivos fecet – vivus fecit).
Fin dalle formule di apertura è evidente l’accostamento di campi semantici di diverso àmbito, dall’evocazione pagana degli antenati (dis Manibus) alla successiva invocazione tipica degli epitaffi cristiani (bonae memoriae), ma le immagini presenti sui lati del manufatto resero forse ancora meglio l’idea di sincretismo. I simboli astrali della stella del mattino e della sera7, del sole e del crescente lunare, affiancato dal chrismon mutilo tra l’ ‘omega e l’alpha’, confermarono l’appartenenza di M. a un preciso contesto militare; la predilezione per questa simbologia si riscontrò infatti in numerose stele di pretoriani del secolo III e non si perse nell’età tardo antica8.
Peraltro i simboli elencati furono pertinenti a diverse correnti filosofiche e religiose, al punto da indurre gli studiosi ad associarli a seconda dei casi a concezioni religiose orientali, ma anche a precisi culti mitraici9.
Nel caso di M. però l’intero complesso iconografico sembra illustrare parallelamente il bios che egli volle descrivere verbalmente con precisa indicazione biometrica: il testo dell’iscrizione recitò infatti nel dettaglio che militò per quarantacinque anni, si trovava nel sessantesimo anno di vita e sperava di vivere fino all’anno novantanovesimo, sei mesi e sei giorni10.
Nell’ideologia elaborata in età imperiale costantiniana si affermò il cerimoniale di partenza dell’imperatore per la campagna militare o profectio, rappresentato dalla Luna innalzantesi sul mare, e il ritorno e ingresso trionfale nell’Urbs, noto come adventus, simboleggiato dal carro del Sole (Sol Invictus)11. Tale sequenza di immagini rispondeva al fine di sottolineare l’aspirazione imperiale di dominio sull’universo.
Speculare, ma probabilmente più complessa, sembra invece la scelta di M.: la dicotomia Sole-Luna evoca una visione neoplatonica dell’esistenza, secondo cui avviene un metabolismo della materia in un divenire metamorfico12.
M. nella veste di ufficiale militare conobbe e aderì senz’altro al pensiero neoplatonico; il suo Sole rappresentò probabilmente il principio di fissità incorruttibile che caratterizzò i quarantacinque anni dedicati al servizio imperiale, illuminato dalla stella del mattino (Lucifer) e la falce lunare vòlta a ponente indicò una seconda fase della sua vita, quella che cominciò al sessantesimo anno di età e che avrebbe voluto che fosse illuminata dalla via della Luna, ovvero dalla materialità, in un processo di perenne metamorfosi dalla vita alla morte, che sarebbe divenuto poi, nella concezione orfica, un percorso di trasmigrazione dalla morte alla vita13.
Il materialismo richiamato dal simbolo lunare fu opportunamente accompagnato nell’iscrizione sottostante dall’invocazione vertutem et gloriam felice Martiniano, eredes facoltatum!, valore e gloria per il felice M., abbia eredi delle sue ricchezze14.
A fianco del crescente lunare furono poste le lettere greche simbolo dell’inizio e della fine, ma in ordine invertito, di nuovo un richiamo al transito dalla morte alla vita in una metempsicosi, propria dell’orfismo, con trionfo finale dello spirito sulla materia. Palese il sincretismo osservando il chrismon tra le due lettere, segno di resurrezione.
Il crescente lunare fu impiegato spesso nei monumenti funerari di epoca imperiale come augurio di immortalità, in qualche caso anche associato a stelle di vario aspetto e quindi di diverso significato15; nel caso di M. fu la stella della sera (Antifer) a sovrastare la Luna, una combinazione che ricorda anche il mito di Endymion, ancora una volta evocatore dell’auspicio d’immortalità16.
Ovviamente non si trattò dell’auspicio a un’esistenza terrena senza limiti, giacché nella stessa iscrizione venne indicata una precisa soglia: novantanove anni, sei mesi e sei giorni (o meglio la somma di tre e tre giorni).
Come si riscontra in altri casi l’indicazione biometrica dettagliata, a volte completa di precisazione del totale degli anni, dei mesi, dei giorni e perfino delle ore di vita vissute dal defunto, prossimo al compimento del secolo di vita, indicò soltanto la cifra idealmente più vicina al numero esemplare per indicare il frammento di tempo ritenuto nella cultura misterica immagine dell’immortalità17.
Tuttavia nel caso di M., proprio per il programmo figurativo presente, non si dovrebbe dunque trascurare l’influsso di un simbolismo gnostico diffusissimo a partire dai secoli II/III; per cui il richiamo di una precisa numerologia servì a strutturare l’ordine nel rapporto tra il principio ideale e divino e l’irrealtà della materia, mettendo quindi in gioco il rapporto tra l’anima e il corpo.
Risulta ricorrente il numero tre e i suoi prodotti nell’epigrafe di M.; nelle correnti gnostiche o neoplatoniche il tre rappresentò la cifra della realizzazione del compimento, designò i tre livelli dell’esistenza, materiale, razionale e spirituale, e in un percorso di evoluzione mistica simboleggiò le tre fasi di purificazione, illuminazione e congiunzione con Dio dell’anima18. M. certo partecipò al sincretismo religioso dell’epoca in cui visse e probabilmente volle descrivere la propria vicenda esistenziale sulla terra confidando nell’eternità concessa agli antichi guerrieri, agli eroi.
1 DBI II, s.v. Andrea Alciato, pp. 69-77.
2 Cfr. G. Cuscito, Il recinto di S. Vittore al Corpo fuori di Porta Vercellina. Per il corpus delle iscrizioni paleocristiane di Milano, Arch. Stor. Lomb., 119 (1993), 431, n. 11.
3 Il testo si interrompe nella parte centrale del coperchio e prosegue nella corrispettiva sezione centrale del corpo del sarcofago.
4 La ricorrenza del numero otto è significativa perché è correlata a un simbolismo astrologico e numerico secondo il quale l’Ogdoade rappresenta la meta raggiunta. Si veda l’approfondito saggio di E. Albrile, La stella dell’ultimo mattino, RCCM, 58/1 (2016), 72-74 che elenca e spiega il richiamo all’Ogdoade nella filosofia platonica (Plat. Epin. 987b), nel cristianesimo, nello gnosticismo e nell’ermetismo.
5 La prima evidente deduzione che il testo sopra riportato suggerisce è che l’iscrizione fu opera di una persona quasi illetterata, probabilmente anche in difficoltà nell’incisione delle lettere, giacché oltre ai frequenti errori morfologici-sintattici non mancano incertezze di genere probabilmente calligrafico-fonetico (ricorrente l’inversione delle lettere ‘i’ ed ‘e’: iternam per eternam, meretus-meritus, vivet-vivit, me(n)ses-mensis, velet-velit, fescu-fiscu(m), fecet-fecit così come lo scempiamento della geminata in anus per annus, la sonorizzazione della ‘b’ divenuta ‘v’ in davit, l’allungamento della vocale ‘u’ in ‘o’ di voloeret o vivos).
6 Cfr. M. Christol, La carrière de Traianus Mucianus et l’origine des protectores, Chiron, 7 (1977), 393-408; J-M. Carrié, Eserciti e strategie, in A. Schiavone (ed.), Storia di Roma. III/1. L’età tardoantica. Crisi e trasformazioni, Torino 1993, 104: Si trattò di una carica istituita durante l’imperio di Gallieno (253-268), istituzionalizzata nell’epoca costantiniana, rappresentò soprattutto un titolo onorifico concesso ai centurioni costituenti la scorta dell’imperatore.
7 La distinzione tra i due astri è data dai termini latini che sottostanno all’immagine: Lucifer o anche Phosphorus nel termine latino derivato dal greco è il nome che gli antichi assegnarono alla stella del mattino (Venere), detta anche Eosphorus, sempre ricollegandosi all’etimologia greca, ovvero nel primo caso ‘portatrice della luce’, nel secondo ‘portatrice dell’aurora’ (Grimal, s.v. Fosforo, p. 313); più complessa l’etimologia del termine Antifer, nella lingua latina sinonimo di Hesperus (TLL II, s.v. antifer, col. 169), che fu ritenuto il Genio della stella della sera, soltanto per gli autori ellenistici coincidente con l’astro Phosphorus, distinto invece dai Romani (Grimal, s.v. Espero, p. 275), come sopra specificato e come risulta evidente dall’uso dei due diversi nomi nell’iscrizione, a designare la figura mitologica della Venere-Libitina, che presiedeva alla nascita e alla morte e comparve spesso in contesti funerari.
8 Cfr. C. Franzoni, Habitus atque habitudo militis. Monumenti funerari di militari nella Cisalpina Romana, Roma 1987, 122-5 (si veda in particolare 123 s., n. 60); F. Rebecchi, I sarcofagi, in AA. VV., Milano capitale dell’impero romano (286-402 d.C.), Milano 1990, 328 s.
9 Cfr. L. Rocchetti, Su una stele del periodo tetrarchico, AnnScAt., 45-46 (1967-68), 489; M.C. Parra, Una stele di Roma ritrovata a Livorno, in AA. VV., Studi per Enrico Fiumi, Pisa 1979, 135 s.; E. Albrile, La stella, 80-83.
10 Sulla cronologia biografica di Martinianus si segnala un errore di interpretazione, oltre a una datazione spostata ai secoli IV/V in M. Handley, Travel and Mobility in the Late Antique West, 121, n. 96: Martinianus non visse novantanove anni, avrebbe desiderato raggiungere quell’età secondo il testo dell’iscrizione. Senza concentrarsi sulla numerologia presente nel testo epigrafico, che sembra tutt’altro che casuale e trascurabile, si ritrova nella rappresentazione astrale un diretto richiamo al concetto di mors triumphalis, ovvero alla morte eroica del milite che aspira all’immortalità fisica in una dimora celeste (empireo uranico, ‘isola dei beati’), di lunghissima tradizione. Si veda come opera di sempre primaria importanza in merito M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Torino 1976, 155 s., 177 s. Lo studioso delineò in particolare la figura mitologica dell’ ‘eroe solare’ e la sua identificazione nel mondo greco-romano con un principio cosmico. Il pitagorismo assegnò agli ‘eroi’ una sede ultraterrena detta ‘Galassia’, il destino pitagorico degli ‘eroi’ fu narrato in Macr. Saturn. I 17-22; Cic. Rep. VI, 3,16; Iul. Imp. In Hel. reg.; Procl. Hymn. ad Sol. La tradizione perdurò nelle epoche medievali, fino a confluire nella letteratura più alta, fu ripresa infatti da Dante Alighieri, che dedicò un passo del Convivio (II XIV,1) alla connotazione iniziatica della ‘Galassia’ – cfr. E. Minguzzi, La struttura occulta della Divina Commedia, Milano 2007, 62.
11 Cfr. C. Mango, Triumphal Way of Costantinople and the Golden Gate, DOP, 54 (2000), 184; per i medaglioni dell’arco di Costantino si veda A. Bravi, L’arco di Costantino. Un monumento dell’arte romana di rappresentanza, in Costantino I, I, 543-556.
12 Di nuovo Eliade, Trattato, 126-189 (si veda in particolare 158: «Il sole rimane sempre eguale a sé stesso, senza alcun ‘divenire’. La luna, invece, è un astro che cresce, cala e sparisce; la sua vita è soggetta alla legge universale del divenire, della nascita e della morte. Precisamente come l’uomo, la luna ha una ‘storia’ patetica, perché la sua decrepitezza, come quella dell’uomo, termina con la morte. Ma questa morte è seguita da una rinascita: la ‘luna nuova’»).
13 Cfr. C. Kerénji, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Torino 1972, 192-195. Naturale l’accostamento della vicenda di Martinianus con il guerriero in Plat. Rep. 614a-621d.
14 Un cenno al materialismo peraltro che si ritrova anche nella parte conclusiva dell’epigrafe sul corpo centrale del manufatto dedicato a Martinianus: ‘nessun’altro sia mai sepolto nella sua urna, sotto pena di una multa di una libra di aureo da pagare al fisco’ (arcae huic si quis removere voluerit aut aperire aut velit alium corpus dabit in fiscum auri pondo unam (libram)).
15 La presenza del simbolo lunare nella tradizione monumentale funeraria è di antichissimo e variegato uso e significato, lo studio maggiormente dettagliato in merito è quello più volte ripubblicato di F. Cumont, Recherches sur le symbolisme funéraire des Romains, J&J.-Ch. Balty, Ch. Bossu (eds) (rist. anast.), Roma 2015, 169-244.
16 Ancora Albrile, La stella, 78 ricorda che Antifer coincidente con Hesperus fu spesso raffigurato come giovane cavaliere posto davanti a Selene e l’accostamento con la carriera militare di Martinianus potrebbe dunque non essere casuale.
17 Si veda a titolo d’esempio CIL IX, 907: […] [Fe]|licissim[o] | q(ui) vix(it) ann(is) | LXXXXVIIII, | m(ensibus) XI, di(ebus) XXVIII, | h(oris) XI, h(eredes) e(ius) f(ecerunt). Commento in AA. VV., Epigrafia e territorio, politica e società: temi di antichità romane, Bari 1983, 32. Per la soglia del secolo come simbolo di immortalità di nuovo Albrile, La stella, 79.
18 Cfr. J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli: miti, sogni, costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, II, Milano 1988, 486-490; J.-P. Brach, La symbolique des nombres, R. Campagnari, P. Zoccatelli (eds, trad. it.), Il simbolismo dei numeri, Parigi 1994, 37-40.
Index nominum – Index rerum sacrarum – Index geographicus – Index rerum notabilium
Index nominum
Martinianus | CIL V, 6244. |
Index rerum sacrarum
Dei Manes | CIL V, 6244. |
Index geographicus
Daciscus (germen) (< Moesiae) |
CIL V, 6244. |
Index rerum notabilium
arca | CIL V, 6244; |
aurum | Ivi; |
corpus | Ivi; |
fiscus | Ivi; |
pondus | Ivi; |
protector | Ivi; |
securitas | Ivi; |
Dana 2004 = Dan Dana, Onomastique est-balcanique en Dacie romaine (noms thraces et daces), in R. Ardevan, C. Ciongradi, C. Găzdac, C. Roman, L. Ruscu (eds), Orbis Antiquus. Studia in honorem Ioannis Pisonis, Cluj-Napoca 2004, 430-448.
Franzoni 1987 = Claudio Franzoni, Habitus atque habitudo militis. Monumenti funerari di militari nella Cisalpina Romana, Roma 1987, 122-125.
Matei 2016 = Dan Matei, In acie miles probatur… Il contributo dei militari della Dacia nella difesa dell’Italia durante il periodo dell’ ‘anarchia militare’, Eph. Dacor., XVIII (2016), 157-178.
Rebecchi 1990 = Fernando Rebecchi, I sarcofagi, in AA. VV., Milano capitale dell’impero romano (286-402 d.C.), Milano 1990, 328 s.
Sannazaro 2002 = Marco Sannazaro, Attestazioni di militari e militaria a Milano, in M. Buora (ed.), Miles Romanus. Dal Po al Danubio in età tardoantica, Pordenone 2002, 70.
Vannesse 2011 = Michaël Vannesse, Une schola armaturarum et un numerus Victorum en Italie du Nord au IVᵉ siècle ap. J.-C., Latomus, 70 (2011), 828 (Table récapitulatif).